Le spettacolari gole di Fara San Martino

Gole di fara san Martino

Imponente e selvaggia, la Majella incombe su Fara San Martino, l’antico borgo longobardo che ospita oggi i più celebri pastifici d’Abruzzo. Lontane, innevate da novembre fino a maggio, appaiono le vette della Majella e degli altri contrafforti di Monte Amaro. Proprio sopra l’abitato, la ripida bastionata della montagna è incisa da due profondissime gole, che sembrano formare una titanica “V” naturale.
Incassata e difficile, la Val Serviera forma il più impegnativo dei grandi canyon abruzzesi, alternando passaggi di arrampicata con corde e laghetti da traversare a guado o a nuoto. Un percorso per esperti, insomma, ma vietato per motivi di sicurezza, che contrasta non poco con la vicina gola di Santo Spirito, accessibile a tutti ed assai frequentata per la sua bellezza e la sua vicinanza all’abitato.
Ad aprirla, secondo la tradizione locale, fu San Martino in persona, che permise in questo modo alla gente del posto di farsi la strada verso le acque, i boschi, gli alti pascoli della montagna. Nella stretta forra iniziale, lunga una cinquantina di metri e larga meno di due, le buche scavate dalle acque sulle pareti verticali sono – sempre secondo la tradizione di Fara – le tracce delle gomitate del Santo.
Proprio a San Martino era dedicala l’abbazia benedettina che sorgeva appena al di là della forra. Abbandonata all’inizio dell’Ottocento, la costruzione spuntava dal pendio solo con la parte apicale della torre campanaria (rimasta sepolta insieme ad altri interessanti ruderi a diversi metri di profondità ed ora finalmente dopo lunghi lavori di scavo di nuovo “svelati”). Qui inizia il sentiero che offre al camminatore allenato il più grande dislivello possibile su tutte le montagne d’Abruzzo: si conclude infatti in vetta al Monte Amaro più di 2300 metri più in alto. Un percorso che passa in rassegna le gole, le faggete, le selvagge conche carsiche che formano il cuore di una delle più belle riserve naturali della regione e d’Italia. La forra iniziale del vallone, è una passeggiata per tutti, notevolmente impegnativa è l’ascesi alla Majella.

Dalla macchia mediterranea alla betulla
II dislivello e la varietà di esposizioni e ambienti fanno della Riserva Naturale Fara San Martino-Palombaro un’antologia della vegetazione delle montagne abruzzesi. Sugli assolati pendii di bassa quota si incontrano specie mediterranee come il leccio, il corbezzolo e il pungitopo. Abbarbicato alle rocce, a quote modeste, compare il pino laricio. Intorno ai 1000 metri, come in tutto l’Appennino, entra in scena la faggeta che si distende per molti chilometri quadrati con sporadica presenza di aceri, carpini, ornielli e ginepri sabini. Nelle radure sono state censite più di 50 orchidee selvatiche, sulle creste vi sono estesi popolamenti di pino mugo. Ancora più su, tra i ghiaioni, occhieggiano la stella alpina dell’Appennino, l’androsace e varie specie di genziane. Tra le presenze più nordiche, la betulla, che vegeta nelle zone più fresche di Macchialunga.

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